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Meno laureati in Valtellina: il prezzo di una visione corta

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Laureati a Sondrio in caloIl dato che allarma 

Secondo l’analisi pubblicata di recente, la quota di residenti fra i 25 e i 39 anni nella provincia di Sondrio con un titolo di studio terziario (laurea o equivalente) è scesa, tra il 2018 e il 2024, dal 25,5 % al 22,9 %.

Questo significa che su 100 giovani adulti in quella fascia di età, oggi circa 3‑4 persone in meno hanno una laurea rispetto a qualche anno fa. In un contesto in cui per molte aree del nord Italia la tendenza è stata — almeno in parte — di crescita, questo calo rappresenta un segnale significativo e preoccupante.

La diminuzione non è isolata: anche altre province lombarde mostrano trend simili (ad esempio Brescia, Pavia, Lodi).

Perché questo dato è così importante? Perché il livello di istruzione di una popolazione giovane è spesso considerato indicatore del capitale umano. Un calo significa potenziale perdita di competitività, di capacità di innovazione e di sviluppo futuro.


Qualche possibile causa: un mix di fattori strutturali

• Struttura del mercato del lavoro e opportunità locali

Secondo un rapporto dedicato al mercato del lavoro nella provincia, nel 2024 oltre l’80 % degli occupati fra 25 e 34 anni possiede almeno un diploma di scuola superiore; circa il 55,5 % è diplomato, mentre solo il 27 % è laureato.

Questo significa che in molti casi la laurea non sembra dare un vantaggio particolare rispetto al diploma: in termini di tasso di occupazione, i laureati in Sondrio risultano sullo stesso piano dei diplomati.

In un contesto di questo tipo, il “ritorno sull’investimento” che rappresenta una laurea — in termini di lavoro stabile, salario, prospettive — potrebbe essere percepito come debole, scoraggiando molti giovani dal proseguire gli studi universitari.

Peggior valorizzazione del titolo di studio

Quando la laurea non viene adeguatamente valorizzata dal mercato del lavoro locale, l’incentivo all’istruzione superiore si riduce. Questo sembra essere il caso di Sondrio, dove non viene registrato un vantaggio occupazionale evidente per i laureati rispetto ai diplomati.

Un effetto pericoloso: se laurearsi non convince — per via di scarso sviluppo locale, opportunità limitate, assenza di industrie ad alta qualificazione — i giovani potrebbero preferire percorsi di studio più brevi oppure entrare subito nel mondo del lavoro, anche se poco qualificato.

Divergenze territoriali e “divari interni”

Il calo registrato nella provincia di Sondrio non è un caso isolato a livello nazionale. Vedi le analisi di Openpolis: molte aree italiane mostrano un calo o una stagnazione nella quota di laureati fra i giovani/adulti.

Questo evidenzia una forte disparità territoriale: grandi città e aree metropolitane — con più università, più servizi, più imprese ad alto valore — continuano ad attrarre laureati, mentre aree “periferiche” o montane come Sondrio rischiano di essere lasciate indietro. Questo contribuisce al fenomeno di “fuga dei cervelli” verso città più dinamiche.


Le conseguenze dei pochi laureati a Sondrio

Minor capitale umano: meno innovazione, meno sviluppo

Un territorio con una scarsa quota di laureati rischia di diventare meno competitivo. Meno laureati significa meno competenze specialistiche, meno capacità di attrarre investimenti ad alto valore, meno innovazione. Per Sondrio — e per chi ci vive — questo può tradursi in minori opportunità di lavoro qualificato, stagnazione economica, disinvestimento.

Migliore opportunità di “cementificazione” e crescita edilizia, ma pochi investimenti nella formazione

Il claim “investiamo in cemento, non istruzione” — coglie un punto forte: è difficile non notare come molte aree alpine e montane subiscano un’espansione degli investimenti infrastrutturali, turistici, edilizi. Ma se questa crescita non è accompagnata da un parallelo investimento in capitale umano — scuole, università, servizi, cultura — il rischio è creare territori “ricchi di muri” ma poveri di opportunità per chi vive lì.

Effetto su demografia e giovani: fuga, spopolamento, disaffezione

Per un giovane laureato che non trova opportunità nella propria terra, le alternative spesso sono due: adattarsi a lavori poco qualificati o emigrare verso città con più possibilità. Questo può generare un circolo vizioso: meno laureati → meno opportunità → più emigrazione → ancora meno laureati.

In provincia di Sondrio, dove il tasso di passaggio dalle superiori all’università è tra i più bassi della regione (secondo alcune analisi).


Laureati a Sondrio – Perché è importante invertire la rotta

  1. Riconoscere il valore del capitale umano. L’istruzione non è solo “fare un titolo”, ma rappresenta un investimento a lungo termine: più competenze, maggiore adattabilità, migliori prospettive. Tornare a puntare su formazione e formazione continua è fondamentale, soprattutto in territori “di confine” come Sondrio.

  2. Creare opportunità concrete per laureati. Se i giovani capiscono che una laurea non serve per qualcosa di reale non si iscriveranno — per questo servono imprese, startup, progetti pubblici/privati che valorizzino le competenze.

  3. Migliorare il sistema locale di istruzione e orientamento. Dalle scuole superiori all’orientamento universitario, fino a politiche attive per sostenere la formazione: borse di studio, incentivi, collaborazione con aziende locali per tirocini.

  4. Politiche territoriali che valorizzino le aree montane e rurali. Spesso, chi vive in zone come Sondrio non ha le stesse opportunità di chi vive in metropoli: infrastrutture, collegamenti, servizi. È necessario un piano di sviluppo integrato, che unisca economia, istruzione, infrastrutture, mobilità.


Laureati a Sondrio

Il calo della percentuale di laureati fra i 25‑39 anni nella provincia di Sondrio — da 25,5 % a 22,9 % — non è un semplice dato statistico: è un campanello d’allarme. Indica una possibile tendenza verso minor investimento sul capitale umano, verso una scarsa valorizzazione dell’istruzione, verso un futuro in cui le montagne continuano a essere ricche di cicatrici di cemento, ma povere di prospettive.

Se davvero “investiamo in cemento, non istruzione”, rischiamo di consegnare alle generazioni future una terra grezza: bella da vedere, pesante da vivere.

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