L’arte della costruzione dei muretti a secco patrimonio dell’Umanità

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muretti a seccoL’Unesco ha iscritto “L’Arte dei muretti a secco” nella lista degli elementi immateriali dichiarati patrimonio dell’Umanità. Otto i paesi europei che hanno presentato la candidatura: oltre all’Italia, Croazia, Cipro, Francia, Grecia, Slovenia, Spagna e Svizzera. “L’arte del ‘Dry stone walling’ riguarda tutte le conoscenze collegate alla costruzione di strutture di pietra ammassando le pietre una sull’altra, non usando alcun altro elemento tranne, a volte, terra secco”, spiega l’Unesco nella motivazione del provvedimento. Si tratta di uno dei primi esempi di manifattura umana ed è presente a vario titolo in quasi tutte le regioni italiane, sia per fini abitativi che per scopi collegati all’agricoltura, in particolare per i terrazzamenti necessari alle coltivazioni in zone particolarmente scoscese. “Le strutture a secco sono sempre fatte in perfetta armonia con l’ambiente e la tecnica esemplifica una relazione armoniosa fra l’uomo e la natura. La pratica viene trasmessa principalmente attraverso l’applicazione pratica adattata alle particolari condizioni di ogni luogo” in cui viene utilizzata, spiega ancora l’Unesco. I muri a secco, sottolinea l’organizzazione, “svolgono un ruolo vitale nella prevenzione delle slavine, delle alluvioni, delle valanghe, nel combattere l’erosione e la desertificazione delle terre, migliorando la biodiversità e creando le migliori condizioni microclimatiche per l’agricoltura”.

Questa la nota diffusa a livello nazionale. Tra i territori italiani compresi nel riconoscimento, oltre a Costiera amalfitana, Pantelleria, Cinque terre, Salento e Valle d’Itria, c’è anche la Valtellina. Ma per la presenza dei muretti a secco, non come zona terrazzata vitata. E nessun cenno alla viticoltura, vera e unica caratteristica per la quale ci si possa aspettare un ritorno d’immagine all’interno di un’iscrizione così ampia. E per capirlo basta notare le altre zone iscritte, oltre al numero e caratteristiche delle nazioni coinvolte.

Per intenderci è un’inserimento nei beni immateriali simile a quello della dieta mediterranea o dell’arte della liuteria. Per cui non sono stati iscritti pastasciutta e violino, questo per fare chiarezza. Marchi quindi molto meno sfruttabili commercialmente.

Tutt’altra cosa sarebbe stata l’iscrizione diretta e singola nei patrimoni materiali e come zona vitata e/o terrazzata, come da tempo altre zone (Douro in Portogallo, Lavaux in Svizzera, Barolo e Barbaresco in Italia per citare i più celebri) hanno ottenuto con un ben definito ritorno di marketing. Che si sta comunque esaurendo.

Si tratta di una buona notizia per la provincia di Sondrio, ma il cui impatto difficilmente potrà allontanarsi dai confini locali e/o incidere sul turismo locale. Anche a causa della valenza del marchio Unesco che sta scemando negli anni a fronte di un elenco di beni inseriti, tra materiali e, soprattutto, immateriali, che è cresciuto velocemente, basti citare gli ultimi inseriti, il raggae e il merletto fatto a mano sloveno, sotto la spinta dei governi e dei suoi apparati burocratici.

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