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Non curate l’immagine, curate le persone: il declino della sanità montana

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Sanità Montana

Negli ultimi anni la retorica istituzionale sulla sanità montana e non in Italia è sempre la stessa: cerimonie, inaugurazioni, “tagli nastro”, nuove strutture.

Ma per molti cittadini — soprattutto chi vive in aree montane come la Valtellina — queste inaugurazioni si trasformano quasi in una beffa: perché dietro l’immagine non c’è sostanza.

Ciò che davvero serve sono medici, infermieri, tecnici diagnostici, operatori sanitari di supporto e soprattutto tempi ragionevoli per visite ed esami. Invece, spesso ci si scontra con liste d’attesa infinite, carenza di personale e disuguaglianze territoriali.


Disuguaglianze territoriali e carenza di risorse

Un primo aspetto fondamentale riguarda la disomogeneità nell’erogazione delle prestazioni sanitarie fra regioni e territori. In Italia, grazie al decentramento, sono le singole Regioni e strutture locali a gestire il sistema — una scelta che sull’Italia montana pesa in modo drammatico.

Nel caso della Valtellina e in generale nelle aree montane, la situazione risulta aggravata da una combinazione di bassa densità abitativa, ridotta domanda per alcune specialità e difficoltà di attrarre personale medico. Di fatto, molte delle strutture — come le cosiddette Case della Comunità o “Ospedali di comunità” — rischiano di restare “strutture vuote”: edifici pronti, ma con scarsissimi contenuti sanitari reali, come denunciato da un recente articolo di approfondimento sulla sanità di montagna.

Questo non è un dettaglio secondario: se le “Case della Comunità” rimangono solo un nome, senza medici, infermieri e servizi di diagnostica, non sono che facciate. Non bastano monitor e inaugurazioni se chi abita quei territori non ha accesso reale a cure tempestive.

Valtellina: un tesoro da salvare, non solo da celebrare


Liste d’attesa lunghissime: l’accesso che diventa privilegio

Un altro problema strutturale: le liste d’attesa eccessive per visite, esami diagnostici e prestazioni specialistiche. Studi recenti mostrano come i tempi di attesa nel Servizio Sanitario Nazionale (SSN) siano spesso incompatibili con una quotidianità normale e con la salvaguardia della salute.

Le ragioni di queste lunghe attese sono molteplici: carenza di medici e personale, scarsità di risorse diagnostiche, saturazione delle strutture pubbliche. Uno studio comparativo tra Italia e Svezia del 2025 evidenzia come l’Italia fatichi a garantire prestazioni in tempi accettabili, al contrario di altri sistemi che — pur in difficoltà — riescono a mantenere standard più elevati grazie a una migliore organizzazione e investimenti su territorio e personale.

Il risultato? Molti italiani, stanchi di aspettare, si rivolgono al privato — spesso pagando di tasca propria — per ottenere in tempi ragionevoli una visita o un esame. Un fenomeno che, come osservano i ricercatori, aumenta l’iniquità di accesso tra chi se lo può permettere e chi no.


Carenza di personale: il tallone d’Achille della sanità montana

Ma perché queste liste d’attesa si allungano così tanto? Una ragione centrale è la mancanza di personale sanitario: medici, infermieri, tecnici diagnostici, operatori. Una recente analisi segnala che, entro il 2025, circa 50.000 medici del SSN potrebbero andare in pensione, aggravando una situazione già critica.

In contesti come la Valtellina — con difficoltà geografiche, inverni lunghi, spopolamento — attrarre giovani medici e specialisti risulta ancora più arduo. E quando mancano le “gomme buone”, non basta aprire un ospedale: serve personale per farlo funzionare.

La carenza di operatori sanitari comporta non solo ritardi nelle visite, ma anche una qualità del servizio compromessa: meno disponibilità, sovraccarico del personale, stress, calo dell’efficienza. Tutto ciò mina la fiducia dei cittadini nel sistema pubblico.


Le riforme e i piani della sanità montana: buona volontà, risultati incerti

Negli ultimi anni le istituzioni hanno cercato di reagire. Un esempio: la recente Legge 107/2024, che ha istituito la Piattaforma Nazionale delle Liste di Attesa (PNLA), un sistema digitale pensato per monitorare in tempo reale i tempi di attesa e rendere trasparente l’accesso alle prenotazioni.

In teoria, una misura utile: monitoraggio, trasparenza, pianificazione basata su dati reali. Ma la mera infrastruttura digitale — da sola — non risolve la mancanza di personale o la scarsità di servizi sul territorio. Se la Valtellina non ha un cardiologo, non serve un sistema digitale per prenotare la visita: la visita non arriverà comunque.

Alcune regioni — come la Emilia‑Romagna — sono riuscite a ridurre i tempi di attesa combinando aumento dell’offerta, riorganizzazione dei processi e centri unificati di prenotazione, ottenendo risultati tangibili.

Ma la realtà varia moltissimo da regione a regione e, soprattutto, da area urbana ad aree marginali o montane.

In aree fragili come la Valtellina, le “soluzioni apparenti” rischiano di restare tali se non si investe concretamente in risorse umane, diagnostica territoriale, assistenza di base e continuità sul territorio.


Perché “curare le persone” prima dell’immagine

“Non curate l’immagine, curate le persone” — riassume perfettamente la questione. L’Italia sembra ogni giorno prima nelle cerimonie, nei monitor digitali, nelle conferenze stampa. Ma ciò che conta davvero per un cittadino che vive in montagna — o in una zona meno “centrale” — è avere un medico quando serve, un’infermiera, un tecnico per fare gli esami, un supporto reale.

Il diritto alla salute — sancito per tutti — nel concreto oggi rischia di diventare un privilegio per chi vive nelle grandi città o ha i mezzi per rivolgersi al privato. Le aree montane, già penalizzate da difficoltà logistiche e minori investimenti, vedono aggravarsi le diseguaglianze.

Finché non si metterà mano davvero al tessuto del sistema — personale, territorio, infrastrutture — ogni nuova inaugurazione sarà solo “facciata”. E chi abita queste montagne continuerà a fare la rincorsa… spesso senza raggiungere mai il traguardo: che è, semplicemente, la cura.

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