Il suo rapporto con la Valtellina nasce da lontano, da quando Mattia Ferrari, classe 1975, si scontrava sui parquet milanesi, da giocatore, con le giovanili della Rigamonti Sondrio. Incontri non certo all’acqua di rose, ma che negli anni hanno creato e poi consolidato un’amicizia, come solo lo sport riesce a fare.
Oggi Ferrari, appese le scarpe al chiodo abbastanza precocemente, è diventato allenatore affermato, per il secondo anno sulla panchina Legnano in A2 dopo aver vinto il campionato di serie B, in precedenza ha guidato Piacenza, Cecina, Latina ed è stato assistente alla Virtus Bologna.
Spesso lo ascoltiamo come commentatore televisivo su Sportitalia o Eurosport. Appassionato di pallacanestro se c’è n’è uno, profondo conoscitore delle “minors” e dei “campetti di periferia”, come solo chi è partito dal San Pio X di Milano può essere, è anche una persona che può parlare, e tanto, di basket estivo in Valtellina e di Diego Pini, le cui strade tante volte si sono incrociate in passato.
Cominciamo con le domande scomode. Sei più coach alla Trinchieri (anche lui scuola S. Pio X) o alla Pini?
“Non sono dissimili: entrambi comandano le proprie squadre e le fanno giocare con sistema e ordine. Sono dei capi e a me piace pensare di esserlo”.
Riuscirete a partecipare con Legnano in agosto al Valtellina Basket Circuit?
“Sarebbe bellissimo, partecipare al precampionato più prestigioso d’Europa rappresenterebbe un ulteriore riconoscimento del livello raggiunto dalla nostra società”.
Qual è secondo te il filo conduttore che permette alla provincia di Sondrio di essere la capitale del basket estivo da così tanto tempo?
“Avere pensato e organizzato per primi una struttura tecnica irripetibile, a cui si è aggiunta una logistica perfetta”.
Spesso si dice che in estate si creano le basi delle grandi vittorie, anche secondo te nelle summer league si può già intuire se la stagione sarà positiva?
“Si può capire se la squadra avrà chimica, che è moltissimo”.
Se ti dico Diego Pini cosa ti viene in mente?
“Molto. Venire a giocare contro Sondrio, sia a livello giovanile che senior, era un banco di prova vero.
Ho in mente una finale zonale nella categoria Cadetti con me giocatore contro i fratelli Faccinelli persa in volata, oppure il mio esordio da capo allenatore in serie C: San Pio contro Sondrio, io venticinquenne contro Diego che era un decano, arriviamo in palestra ed è occupata da una partita di volley. Dramma: tutti in confusione. Diego non fece una piega: “Mattia trova un’altra palestra subito, io non ho fatto tutta sta strada per non giocare”.
Quello stesso anno perdemmo il ritorno a Sondrio dopo tre supplementari, tre ore di partita.
Due anni dopo, sempre in serie C, io a Cislago, esordio casalingo con Sondrio: lui entra in palestra e mi dice: “qui non ho mai perso e dopo di solito vado a mangiare la pizza”. Vinciamo noi, sulla sirena, mentre ci diamo la mano: “non era mica vero… volevo metterti pressione perché era il tuo esordio su una panchina nuova”. Un fenomeno. In carriera sono due a due nel testa a testa con Diego ed è un bilancio che mi lusinga molto”.
So che sei un amante del cibo. Da noi si mangia “leggero”, un motivo in più per venire ad allenare in Valtellina un giorno, non sei d’accordo?
“Un anno Diego mi chiamò, parlammo, poi mi disse: “costi troppo, prendo un turco, che forse mangia anche un filo meno”. Io adoro la cucina valtellinese e credo si percepisca…”.
Spazio outing per l’ultima domanda. Tua madre ha ancora il negozio di scarpe per grandi numeri dove compravo le calzature quando in Valtellina non si trovavano ancora?
“Grande che te lo ricordi! Fu un’idea geniale di mia madre e mia zia, ex giocatrice di basket della prima squadra femminile di Milano che giunse in serie A. Andò alla grande per anni… poi basta. Ora tutti a casa”.