La maschèrpa d’alpeggio, molto più di una ricotta

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la maschèrpa d’alpeggio, molto più di una ricotta


Maschèrpa


Quando si parla di formaggi alpini, molti nominano il Bitto, il Casera, il Branzi… ma dietro questi grandi nomi c’è un reticolo di produzioni “minori” – spesso quasi dimenticate – che raccontano storie antiche, sapori autentici e territori straordinari. Tra queste, spicca la maschèrpa d’alpeggio: non una semplice ricotta, ma una creazione casearia che incarna cultura, marginalità geografica e sapere contadino. In questo articolo esploriamo origine, tecnica, territorio, evoluzione e prospettive della maschèrpa, per restituirle il posto che merita nella scena gastronomica italiana.


Origine, nome e diffusione

Il termine «maschèrpa»

Il nome “maschèrpa” probabilmente deriva da un’origine longobarda e veniva in uso locale per indicare un formaggio fresco e bianco. Nel tempo, nella tradizione alpina lombarda, è divenuto sinonimo – o vicino termine – di ricotta d’alpe.

Nell’ambito della Arca del Gusto di Slow Food, la maschèrpa d’alpeggio viene valorizzata come prodotto storico, tipico dei pascoli dell’arco alpino lombardo.

Territorio di produzione

La produzione tradizionale di maschèrpa è circoscritta soprattutto alle Alpi Orobie, in particolare nelle valli del Bitto, nella Val Gerola, sull’area del versante bergamasco del Passo San Marco e in zone dell’alta Val Brembana.
Si tratta di aree di alta quota, con pascoli alpini ricchi di biodiversità vegetale, microclimi peculiari e condizioni ambientalmente sfidanti. Questi elementi contribuiscono in modo determinante al carattere del prodotto finale.

Oggi le maschèrpere sono rare, prodotte solo in alpeggi spesso molto elevati (oltre 2000‑2100 metri), nei quali le condizioni ambientali (temperatura, areazione, gestione dell’umidità) devono essere attentamente controllate.


Tecnica di produzione: cosa rende la maschèrpa unica

Materie prime

  • Siero fresco: la base è il siero residuo della lavorazione dei formaggi grassi d’alpe, cioè il liquido che rimane nella caldaia dopo la produzione di formaggi come il Bitto.

  • Latte di capra: si aggiunge mediamente un 10 % di latte intero di capra, in particolare razza orobica, che conferisce ricchezza aromatica e cremosità supplementare. 
    Questa integrazione del latte caprino è uno degli elementi che la distingue da una ricotta comune e ne arricchisce il profilo sensoriale.

Processi e fasi produttive

  1. Riscaldamento del siero: si porta il siero a circa 60‑65 °C.

  2. Aggiunta del latte caprino: il latte intero caprino viene aggiunto e il composto viene nuovamente riscaldato fino a 85‑90 °C. Questa è la fase più delicata, in cui bisogna avere sensibilità per cogliere il momento esatto per introdurre l’addensante acido. Un’errata tempistica può compromettere la resa o il gusto (eccessivamente cotto).

  3. Acidificazione / coagulazione: si aggiunge l’agente acidificante (storicamente “agra”, un siero magro acidificato) in modo rapido e deciso per favorire la risalita dei fiocchi. Nel passato si utilizzavano anche ingredienti naturali come ginepro, allume di rocca, radice di genziana, foglie d’acetosa, prugne acerbe.

  4. Raccolta dei fiocchi: con una schiumarola di rame (càspsula), i fiocchi vengono raccolti dalla superficie e trasferiti nei contenitori forati di legno (“garocc’”).

  5. Spurgo: i contenitori, posizionati su piani inclinati (spresùn), permettono al siero in eccesso di defluire. Questo spurgo dura mezz’ora fino a 24 ore, a seconda del grado di desiderata asciugatura.

  6. Salatura / stagionatura (opzionali): per produrre versioni più dure e durevoli, la maschèrpa viene salata a secco su entrambe le superfici e fatta riposare. Le forme stagionate perdono fino a metà del peso, diventano più consistenti, e nelle stagionature più lunghe sviluppano muffe superficiali che vengono periodicamente pulite.

    • Il colore interno tende verso grigio nelle forme stagionate.

    • Nella stagionatura si possono ottenere versioni che si grattugiano o si usano da condimento, non solo come formaggio fresco.

Forma, aspetto e caratteristiche sensoriali

  • Forma: tipicamente tronco-conica o cilindrica, con diametro di 23–30 cm, altezza 40–60 cm. Peso orientativo: 4 kg.

  • Crosta: la maschèrpa fresca è priva di crosta. Nella stagionatura può sviluppare muffe bruno-scure, che vanno gestite.

  • Pasta: da fresca è bianca o avorio, tenera e fondente; con il tempo si fa più compatta, friabile, con odori intensi.

  • Sapore / aroma: delicato, dolce, con sentori di latte cotto e note vegetali; nelle versioni stagionate emerge maggiore intensità aromatica.


Maschèrpa e cultura locale: valori, rischi, conservazione

Valore culturale e identitario

La maschèrpa è molto più che un prodotto caseario: è un testimone vivente dell’economia d’alpeggio, un legame tra uomo, pascolo e montagna. La sua produzione presuppone pascoli ben mantenuti, biodiversità foraggera, rispetto per cicli naturali e una gestione artigianale tenace nei mesi estivi quando il bestiame sale agli alpeggi.

Essendo parte dell’Arca del Gusto di Slow Food, la maschèrpa è riconosciuta come patrimonio gastronomico da tutelare e promuovere.

Minacce e criticità

  • Declino degli alpeggi: molti alpeggi tradizionali sono ormai abbandonati o meno utilizzati, mancano i casari esperti, le condizioni climatiche diventano più sfidanti.

  • Costi di produzione elevati: lavoro manuale, attenzione continua, rischi ambientali.

  • Fragilità nella conservazione: non tutte le forme possono essere destinate alla stagionatura: la ventilazione, l’umidità e le condizioni di stabulazione devono essere rigorose per evitare muffe indesiderate o deterioramenti.

  • Diffusione limitata: la rarità rende difficile che la maschèrpa sia conosciuta fuori dal territorio alpino, limitandone la domanda e l’investimento.

Conservazione e maturazione

  • Le forme fresche vanno consumate in poche ore/giorni, mantenendole in ambiente fresco e ventilato.

  • Le forme destinate alla stagionatura vengono salate e lasciate maturare in locali di alpe ben aerati. Le muffe superficiali vanno gestite e pulite periodicamente.

  • Chi riuscisse a portare una maschèrpa in maturazione per mesi — o addirittura un anno nei casi migliori — può ottenere un formaggio da grattugia con intensità aromatica profonda.


Usi gastronomici: come gustare la maschèrpa

Forma fresca

La maschèrpa giovane è perfetta per:

  • Preparazioni fresche, come accompagnamento a frutta, miele, marmellate.

  • Piatti locali: viene scagliata o grattugiata su pizzoccheri, tagliatelle, verdure selvatiche (per esempio lo spinacio selvatico, “paruch” in dialetto).

Versioni stagionate

Con qualche mese di maturazione, la maschèrpa assume struttura e sapidità:

  • può essere grattugiata come condimento (come un formaggio da finestra),

  • utilizzata a scaglie sopra piatti rustici,

  • oppure consumata con pane, polenta o accompagnamenti robusti che ne valorizzino l’aromaticità.

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