8 Maggio 2024 09:46

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Cave, torni e laveggi della Valbrutta

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Nell’Alta Valmalenco, sulla direttrice che sale a Campo Moro, a 300 metri prima di Campo Franscia, c’è sul lato destro la Valbrutta: una valle corta il cui nome non corrisponde alla realtà. Alla confluenza delle acque che scendono dal Largone e del torrente Prabello sorge il piccolo nucleo di antiche baite che prendono il nome da questa piccola valle. Qui ci sono ancora le cave e i torni per la lavorazione della pietra ollare risalenti al 1800. Tutta la Valmalenco è famosa per la serpentinite (roccia appartenente alla famiglia delle peridotiti, nelle quali quasi tutti i minerali che la compongono si trasformano in serpentino); dalle venature del serpentino si estrae la steatite (impropriamente detto talco) ma c’è pure una lunga venatura di pietra ollare che si suddivide in cloritoscisto e talcoscisto. La pietra ollare è una roccia tenera e viene lavorata in varie parti della terra con modalità differenti. Proprio perché è possibile lavorarla al tornio si riesce a farne contenitori di vario tipo e anche i “laveggi”.
Questi ultimi sono molto resistenti al calore e pertanto molto adatti alla cottura; sono inoltre utilizzati anche per la conservazione dei cibi perché non ne alterano le proprietà. Qui, nella Valbrutta, ci sono ancora i torni in legno per la lavorazione della pietra ollare; questi torni fino a cinquanta anni fa funzionavano con la forza motrice prodotta con l’acqua. Nella creazione di queste particolari pentole sono coinvolte 2 importanti figure: un esperto cavatore e un bravissimo tornitore. Dopo di loro, nel passato, entrava in gioco il “Magnan”, era lo stagnino che riparava contenitori di qualsiasi tipo e le pentole. Questo artigiano aveva introdotto la cerchiatura dei laveggi per farli durare molto a lungo nel tempo; altro compito del “Magnan” era quello di girare l’Italia per andare a vendere i “Lavecc”. Infine, un’ultima curiosità: l’uso delle cave della Valbrutta, pur essendo esse in territorio di Lanzada, era riservato alla Quadra di San Giovanni di Montagna in Valtellina e la stessa cosa si verificava per l’uso degli alpeggi dell’Acquanera.
Giorgio Gemmi

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