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La fase 3: cronaca di una morte annunciata?

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La fase 3Mentre si attende di sapere cosa e, soprattutto, come riaprirà nei prossimi giorni è palese che, nonostante la pandemia, il distacco tra il mondo reale e quello politico non è diminuito di un centimetro.
Non si spiegano altrimenti decisioni e dichiarazioni a cui assistiamo da mesi. Che dovrebbero essere insostenibili, anche dai più accaniti fan dei diversi schieramenti, esattamente come lo sono i provvedimenti che sono stati anticipati sulle riaperture di bar, ristoranti, hotel e via discorrendo.
Veramente c’è qualcuno che pensa nella stanza dei bottoni che un ristorante possa ridurre di due terzi, ma anche di metà cambia poco, i propri coperti senza lavorare in perdita? Ma li conoscono i margini della ristorazione? Speriamo che qualcuno tra le centinaia di esperti al lavoro riesca ad arrivare a capire che nel 2020 un esercente del food & beverage guadagna principalmente sulle bevande. Va da sé che con asporto e domicilio questa voce d’entrata quasi scompare.
Per non parlare delle prospettive, utopiche, di chi pensa che gli hotel, con le norme che dovrebbero rispettare, perdano solo il 30/40% del lavoro estivo.
Le perdite maggiori, se non cambierà la forza del virus, saranno appannaggio del mare, ma pensare che la montagna si salverà con gli appartamenti è al limite della magia. Le seconde case (e la spesa al supermercato) sono una cosa. Gli affitti, turisticamente parlando, un’altra. A meno che si pensi davvero che con l’indice della fiducia ai livelli del 1929 e plexiglass a dividerci per mangiare una pizza ci sia un esodo verso destinazioni di prossimità. Per fare cosa: passeggiare?
La forbice tra i garantiti e i precari sta aumentando esponenzialmente. Decine di migliaia di aziende sono già uscite dal mercato. Milioni di italiani non hanno più mezza certezza nel futuro. La bomba atomica sociale si sta caricando di energia. Dovesse esplodere non basteranno certo le dirette Facebook a fermarla.
A mancare sono chiarezza e serietà. Con governo e regioni in campagna elettorale perenne. Quelli all’opposizione a Roma che contestano tutto, quelli in maggioranza nella capitale che non mettono in discussione nulla. Con zero certezze per i cittadini. Risultato di un mondo dove le nomine derivano dai capi dei partiti. E che generano comportamenti simili a quelli dei cani terrorizzati di tradire il padrone.
Ma che spaventa è la mancanza di spirito critico di una grande fetta di cittadini. Che ancora, dopo tutto quello che abbiamo visto, restano ancora in adorazione di fronte a quelli che ritengono i potenti, nella speranza che finisca nel loro piatto qualche briciola in avanzo. Saltando da uno all’altro appena il vento cambia. Passando in pochi anni da “meno male che Silvio c’è” a dover cercarne col binocolo un elettore. Ancora meno anni dalla caduta dei consensi dal 40% al 3% a quello che veniva definito “con la stoffa dello statista” dal presunto opinion leader enogastronomico italiano, nonostante non sia in grado di riconoscere una mortadella del discount.
Frammento che, se non ci sarà un cambio di rotta nei provvedimenti che toccano l’economia vera, sarà presto ancora più piccolo, se non esistente, per i plebei.

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