Il richiamo silenzioso dei borghi dimenticati
C’è qualcosa di profondamente magnetico nei luoghi abbandonati in montagna, soprattutto in un territorio affascinante e selvaggio come quello della provincia di Sondrio. Incastonati tra le cime della Valtellina e della Valchiavenna, questi borghi dimenticati raccontano storie di vita, di lavoro, di emigrazione e di natura che lentamente si riprende tutto. Ma cosa spinge sempre più persone a cercare queste destinazioni fuori dalle rotte classiche?
È il fascino del tempo sospeso. In questi luoghi il presente si mette in pausa, il passato diventa tangibile, quasi si può sentire il rumore dei passi su una vecchia mulattiera o l’eco di una voce tra le case in pietra. Il silenzio, qui, non è assenza, ma una presenza forte e avvolgente.
Questi borghi sono spesso raggiungibili solo a piedi, attraverso sentieri immersi nella natura. E proprio questo rende l’esperienza unica: ogni passo diventa scoperta, ogni rovina racconta qualcosa. L’abbandono non è degrado, ma testimonianza.
Tra i motivi principali che rendono questi luoghi così attraenti ci sono:
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La bellezza aspra e autentica della montagna, dove la mano dell’uomo ha lasciato solo tracce leggere.
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Il contrasto tra ciò che era e ciò che è diventato: comunità vive trasformate in paesi fantasma.
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L’atmosfera unica: surreale, malinconica, poetica.
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La possibilità di vivere un’escursione diversa, lontana dal turismo di massa.
Camminare tra le case abbandonate, osservare i tetti crollati, immaginare la vita che c’era un tempo, diventa un modo per viaggiare nel tempo. E non serve molto: uno zaino, un po’ di voglia di camminare e il rispetto profondo per ciò che si sta esplorando.
Nella provincia di Sondrio ci sono diversi luoghi che incarnano perfettamente questo fascino: Savogno, Codera, piccoli nuclei rurali sulle montagne, vecchie colonie montane, alberghi dimenticati… Ognuno con una sua storia, ognuno con una sua anima.
E proprio da Savogno vogliamo partire…
Savogno: il borgo abbandonato raggiungibile solo con 2886 gradini
Se c’è un luogo che sintetizza perfettamente il mistero e la bellezza dei borghi abbandonati della Valtellina, è proprio Savogno. Si trova nel comune di Piuro, in Val Bregaglia, ed è raggiungibile solo a piedi. Una delle vie più affascinanti per arrivarci è una scalinata storica con ben 2886 gradini che si inerpica sul fianco della montagna.
Questo borgo, oggi quasi completamente disabitato, era un tempo un centro vivo e autosufficiente. Le sue case in pietra, i vicoli stretti, le fontane in granito e i loggiati in legno parlano ancora di una vita semplice, fatta di agricoltura, di comunità, di montagna vera. Ma negli anni ’60, l’ultimo abitante stabile se n’è andato, e da allora il tempo si è fermato.
Oggi chi arriva a Savogno vive un’esperienza fuori dal comune:
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Nessuna auto, nessuna strada asfaltata, nessun rumore urbano. Solo natura, silenzio e pietra.
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Un paesaggio da fiaba malinconica, con viste mozzafiato sulla Valchiavenna.
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Una lezione sulla fragilità dei piccoli borghi di montagna, che, privati di servizi e opportunità, sono stati lentamente svuotati.
Savogno però non è solo un luogo fantasma, è anche un simbolo di resilienza. Negli ultimi anni ci sono stati progetti di recupero, attività di valorizzazione turistica e culturale, escursioni guidate. Alcune case sono state ristrutturate, c’è chi ha deciso di passare qui le vacanze in modo alternativo, a contatto profondo con la montagna e la memoria.
Visitare Savogno non è solo una gita. È un viaggio nella memoria collettiva di un’Italia che si svuota, ma che può ancora essere riscoperta.
Codera: il villaggio raggiungibile solo a piedi, tra storia e leggenda
Un altro gioiello nascosto tra le montagne della provincia di Sondrio è senza dubbio Codera, in Valchiavenna. A differenza di Savogno, qui non si tratta di un borgo completamente abbandonato, ma di una realtà unica: un paese raggiungibile solo a piedi, senza strade carrabili, dove vivono ancora poche persone in completa autonomia.
Il sentiero per arrivarci parte nei pressi del lago di Mezzola, e dopo circa due ore di cammino, tra mulattiere e scorci mozzafiato, si giunge in questo villaggio fuori dal tempo. Qui si respira un’aria antica, autentica, ruvida. Codera è una testimonianza vivente di resistenza montanara, un esempio raro di chi ha deciso di restare, nonostante tutto.
Ma non mancano nemmeno qui gli elementi dell’abbandono: molte case sono disabitate, i segni dell’emigrazione sono evidenti, e tutto il contesto racconta una lotta continua tra uomo e natura. Codera è anche luogo di storie e leggende, come quella del brigante Valfubia, figura mitica che si dice ancora si aggiri tra le rocce…
Perché Codera affascina chi ama i luoghi abbandonati?
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Perché è difficile da raggiungere: e questo rende ogni visita un vero e proprio pellegrinaggio.
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Perché trasmette una sensazione di isolamento totale, quasi mistica.
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Perché il suo paesaggio è mozzafiato: montagne altissime, cascate, boschi, silenzio.
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Perché è un ibrido tra vivo e morto: una comunità al limite tra la presenza e la memoria.
Esplorare Codera significa capire quanto la montagna possa essere accogliente e respingente allo stesso tempo, e quanto l’abbandono non sia sempre definitivo. È anche un ottimo punto di partenza per itinerari più lunghi, come il celebre sentiero del Tracciolino, sospeso tra cielo e roccia.
Le ex colonie, sanatori e alberghi dimenticati: l’altra faccia dell’abbandono montano
Non solo borghi: tra le montagne della provincia di Sondrio ci sono molti edifici abbandonati di altro tipo, spesso legati alla storia del turismo e della sanità del Novecento. Colonie montane, sanatori, alberghi… tutti rimasti vuoti, inutilizzati, dimenticati. E proprio per questo, incredibilmente affascinanti.
Tra questi luoghi troviamo:
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Ex colonie alpine, costruite negli anni ’30 e ’40 per ospitare bambini e ragazzi provenienti dalle città durante l’estate. Oggi molte sono in rovina, con strutture spettrali immerse nei boschi.
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Sanatori di montagna, edifici imponenti dove si curava la tubercolosi grazie all’aria salubre delle alture. Dopo l’arrivo degli antibiotici, sono stati abbandonati di colpo, lasciando dietro di sé storie e stanze vuote.
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Alberghi storici, nati con il boom del turismo alpino e poi decaduti con il cambiamento delle abitudini di viaggio e con la crisi della montagna.
Questi edifici offrono un altro tipo di emozione rispetto ai borghi rurali:
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Sono più recenti, quindi mostrano ancora elementi architettonici moderni, corridoi, insegne, arredi decadenti.
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L’abbandono è spesso più improvviso: si ha l’impressione che qualcuno sia uscito e non sia più tornato.
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Sono luoghi perfetti per chi ama la fotografia urbana (urbex) e le atmosfere da film post-apocalittico.
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Sono testimonianze di come anche il “progresso” possa cadere nell’oblio, se non accompagnato da sostenibilità e visione a lungo termine.
Questi luoghi sono anche più difficili da valorizzare, spesso pericolanti o inseriti in contesti complicati. Ma potrebbero rappresentare un enorme patrimonio da recuperare, se gestito con intelligenza e rispetto.
Cosa significa visitare un luogo abbandonato (e come farlo con rispetto)
Visitare un luogo abbandonato non è solo un’escursione: è un atto di ascolto. È entrare in uno spazio dove il tempo si è fermato, dove la natura convive con i resti dell’uomo, dove il silenzio parla più di mille parole.
Ecco alcuni consigli fondamentali:
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Non toccare, non modificare, non portare via nulla: ogni oggetto è parte della storia del luogo.
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Non entrare in edifici pericolanti: per la tua sicurezza e per non danneggiare ulteriormente le strutture.
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Rispetta la proprietà privata: molti di questi luoghi, anche se abbandonati, sono ancora legalmente di qualcuno.
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Documenta con rispetto: se fai foto o video, cerca di raccontare, non sfruttare.
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Informa sempre qualcuno se vai in zone isolate: il fascino dell’ignoto non deve trasformarsi in pericolo.
Esplorare questi luoghi può anche portare a riflessioni più ampie, su cosa lasciamo dietro di noi, su come si vive in montagna oggi, su cosa significa veramente “progresso”.
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