Valtellina e Olimpiadi Milano Cortina 2026: entusiasmo mancato e malcontento crescente
Nel cuore delle Alpi, tra paesaggi mozzafiato e comunità abituate a vivere lo sport in modo autentico, la Valtellina si trova oggi in una posizione paradossale: protagonista “tecnica” delle Olimpiadi Invernali Milano Cortina 2026, ma emotivamente e simbolicamente assente. Un contrasto che non è sfuggito agli abitanti della valle, e che si riflette in ogni conversazione da bar, nei post social, nelle opinioni degli imprenditori e nei comunicati istituzionali locali.
Ma perché i valtellinesi non sembrano amare questo evento? Le cause sono numerose e stratificate. Iniziamo da quella più evidente: il nome dell’evento stesso. Nessuna traccia di Bormio o Livigno, né tantomeno della parola “Valtellina”. Una scelta che, al netto delle logiche mediatiche e politiche, ha fatto sentire esclusi proprio coloro che dovranno ospitare alcune delle gare più spettacolari, come lo sci alpino e il freestyle. E questa esclusione simbolica ha lasciato il segno.
Altro nodo centrale è la comunicazione istituzionale, che in molti definiscono “ripetitiva”, “autocelebrativa” e incapace di costruire un vero legame con la popolazione. Nonostante le tante iniziative promozionali lanciate a livello nazionale, in Valtellina il messaggio non passa. O peggio: passa come imposizione calata dall’alto, priva di ascolto e partecipazione reale. Questo ha generato una distanza emotiva, dove l’orgoglio olimpico del passato, come quello dei Mondiali di Bormio 1985, ha lasciato spazio a scetticismo e disillusione.
La percezione è che si parli più di cemento che di sport, più di cantieri che di campioni. E il risultato è sotto gli occhi di tutti: marciapiedi rifatti, tombini nuovi, ma zero grandi opere di respiro strategico per la mobilità o il turismo. Le voci di aziende locali che lamentano ritardi nei pagamenti non fanno che peggiorare la situazione, creando un clima di sfiducia crescente.
Insomma, a pochi mesi dall’inizio dei Giochi, la sensazione dominante in Valtellina è che si stia perdendo un’occasione storica, e che l’eredità di questo evento rischi di limitarsi a qualche inaugurazione frettolosa. Ma le radici del problema sono ben più profonde.
Tra ritardi, infrastrutture deboli e promesse mancate: la delusione valtellinese prende forma
Se da una parte c’è una narrazione nazionale entusiasta che racconta Milano Cortina 2026 come un evento storico, dall’altra, in Valtellina, il clima è ben diverso: prevale la delusione. E il motivo non è solo “di pancia” o emotivo. A fianco della percezione generale, ci sono fatti concreti, situazioni quotidiane che toccano la vita delle persone e delle imprese locali, creando un senso diffuso di disillusione.
Uno dei temi più discussi è quello delle infrastrutture. Nonostante le tante promesse fatte in fase di candidatura olimpica, la situazione logistica della Valtellina non è migliorata in modo significativo. I lavori su strade e ferrovie accumulano ritardi evidenti, le tratte ferroviarie strategiche come la Lecco–Sondrio–Tirano restano lente e affollate, e gli interventi realmente strutturali sembrano rimandati a data da destinarsi. Mentre si inaugurano rotonde, marciapiedi e qualche nuova facciata, le criticità vere – traffico, viabilità montana, accessi turistici – rimangono.
A peggiorare il quadro c’è il malcontento degli imprenditori. Molte aziende coinvolte nei cantieri olimpici denunciano ritardi nei pagamenti, mancanza di chiarezza nei capitolati e una burocrazia lenta e farraginosa. Questo non solo scoraggia la partecipazione delle imprese locali, ma genera anche una frattura tra la popolazione e il progetto olimpico. La percezione, insomma, è che a guadagnarci siano sempre i soliti, mentre il territorio resta a guardare.
E quando si guarda all’“eredità” olimpica, la cosiddetta legacy, molti valtellinesi alzano le spalle. Perché se l’unico lascito saranno marciapiedi più larghi, qualche led sulle piste e opere di facciata, il paragone con il passato diventa inevitabile. Basti ricordare l’entusiasmo diffuso che si respirava in valle nel 1985, quando Bormio ospitò i Mondiali di sci alpino: ogni cittadino si sentiva parte di un momento storico, l’intera valle vibrava di energia e partecipazione.
Oggi invece la parola d’ordine sembra essere una sola: disconnessione. Tra istituzioni e cittadini, tra slogan e realtà, tra cemento e spirito sportivo. E nel frattempo, le necessità concrete — come la sanità locale — rimangono in secondo piano.
Quando lo sport perde l’anima: tra sanità dimenticata e Valtellina trattata come una semplice cornice
Tra gli elementi che più hanno aumentato il distacco tra i valtellinesi e le Olimpiadi Milano Cortina 2026, ce n’è uno che tocca la vita quotidiana in modo diretto e doloroso: la sanità pubblica. In un momento in cui mancano medici di base, operatori sanitari, servizi d’emergenza pienamente operativi, la scelta di investire miliardi in un evento sportivo appare, agli occhi di molti, fuori luogo e quasi provocatoria.
Molti cittadini si chiedono: “Ma come è possibile che si trovino i soldi per rifare le strade olimpiche e non per garantire un pronto soccorso operativo h24 nella mia zona?”
La percezione è chiara: le priorità sono state ribaltate. Le istituzioni parlano di strutture e inaugurazioni, ma una facciata rinnovata non cura un paziente. La popolazione lo sa, lo vive ogni giorno, e questa distanza tra le necessità concrete e le scelte politiche alimenta un sentimento di profonda amarezza.
In parallelo, si rafforza anche un’altra sensazione difficile da accettare: quella di essere una “cornice scenica”, utile solo per le riprese televisive e gli spot promozionali, non un territorio realmente coinvolto e valorizzato. Livigno e Bormio ospiteranno le gare, è vero, ma la Valtellina nel suo complesso non si sente protagonista. Gli investimenti sembrano concentrarsi solo su località già consolidate turisticamente, mentre i piccoli comuni, le valli laterali, le aree più fragili non ricevono attenzione.
Il coinvolgimento dal basso è praticamente nullo. Pochi eventi, poche assemblee pubbliche, pochi strumenti di ascolto vero. E quando vengono presentate le “opportunità olimpiche”, si tratta perlopiù di slogan ripetuti fino alla noia, senza progettualità reale né dialogo. Risultato? I cittadini si sentono esclusi, come se qualcuno stesse organizzando una festa a casa loro senza invitarli.
Il contrasto con il passato è impressionante. I valtellinesi sanno cosa vuol dire sentirsi parte di un evento sportivo globale: lo hanno vissuto nei Mondiali ’85. Ma lì c’era partecipazione vera, entusiasmo spontaneo, identità condivisa. Qui invece, tutto sembra calato dall’alto, freddo e burocratico.
E allora la domanda diventa inevitabile: è troppo tardi per cambiare rotta? Oppure c’è ancora spazio per ricucire il rapporto tra Olimpiadi e territorio?