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Il fritto che sa di montagna

il fritto che sa di montagna

Sciatt origini, preparazione e perché amarli


Origini e storia

Gli sciatt sono un piatto tradizionale della Valtellina, in Lombardia, con radici antiche legate alla cultura contadina alpina. Il nome “sciatt” in dialetto valtellinese significa letteralmente “rospo”: pare che prenda questo curioso appellativo dalla forma irregolare che assumono le frittelle una volta immerse nell’olio caldo.

Questo piatto nasce in particolare nel piccolo borgo di Teglio, che è anche patria dei pizzoccheri, ma oggi gli sciatt sono diffusi in tutta la valle come specialità locale molto amata.

L’altro ingrediente chiave, il grano saraceno, venne introdotto nella Valtellina secoli fa (dal XVII secolo) ed è diventato elemento distintivo della cucina alpina locale, grazie alla sua capacità di crescere in zone montuose difficili.

Valtellina Casera DOP: il formaggio “cuore” dello sciatt

Il formaggio usato per il cuore degli sciatt è il Valtellina Casera DOP. Ecco perché è importante:

  • È un formaggio semigrasso a pasta semicotta, prodotto con latte vaccino proveniente esclusivamente dalla provincia di Sondrio.

  • Le sue origini risalgono al 1500, quando nelle latterie rurali gli allevatori univano il latte per lavorarlo collettivamente.

  • È stagionato almeno 70 giorni, con sapore che va dal dolce lattico quando giovane, fino a note più complesse (frutta secca, foraggi affienati) con l’invecchiamento.

Questo formaggio portato al centro di una frittella diventa filante e fondente al primo morso: quel contrasto tra l’interno morbido e l’esterno croccante è ciò che rende gli sciatt irresistibili.

Ingredienti essenziali degli sciatt

Ecco cosa serve per preparare gli sciatt “autentici”:

  • Farina di grano saraceno + farina di grano tenero: la prima dà sapore rustico e colore, la seconda aiuta con la consistenza.

  • Valtellina Casera DOP (preferibilmente giovane, non stagionato troppo) tagliato a cubetti.

  • Liquidi per la pastella: acqua o birra, qualche goccia di grappa o liquore (facoltativo), un pizzico di lievito o bicarbonato per aiutare la doratura e l’aria nell’impasto.

  • Olio abbondante per frittura ad alta temperatura, per ottenere la croccantezza perfetta.

  • Un contorno spesso usato: cicoria cruda tagliata finemente, condita semplicemente con olio, sale e, a volte, aceto. Serve come contrasto fresco alle frittelle calde.

Preparazione passo-passo

  1. Preparare la pastella: mescola le farine con i liquidi (acqua o birra), la grappa e un pizzico di lievito o bicarbonato. L’impasto non deve essere troppo liquido; deve riuscire ad aderire al cubetto di formaggio. Far riposare un po’ l’impasto (anche 30‑60 minuti) è utile.

  2. Tagliare il formaggio: cubetti piccoli, dimensione tale da entrare bene nella pastella e fondersi senza disperdersi.

  3. Friggere: olio ben caldo; prendere con un cucchiaio l’impasto con il cubetto di formaggio dentro, fare attenzione che il formaggio resti ben coperto dal composto, altrimenti cola fuori. Friggere fino a doratura intensa e croccantezza.

  4. Servire caldi: appena tolti dall’olio, poggiarli su carta assorbente, poi su un letto di cicoria cruda condita. Vanno mangiati subito, perché il cuore resti filante.


Perché gli sciatt sono il perfetto antipasto in compagnia

  • Convivialità: si mangiano con le mani, si condividono, si servono in un vassoio caldo.

  • Contrasti di sapore e consistenza: la croccantezza esterna, la cremosità interna, il sapore ricco del formaggio unito all’aroma tostato del grano saraceno.

  • Legame col territorio: sono un piatto che parla della montagna, della stagionalità, della semplicità trasformata in gusto.

  • Versatilità: si abbinano bene a vini bianchi profumati o rosati leggeri, a birre artigianali non troppo amare, o a un’insalata semplice a contrasto.


Curiosità

Sciatt significa “rospi” nel dialetto valtellinese, nome dato per la forma irregolare delle frittelle.

Teglio è considerato il luogo di origine, ma il piatto si è imposto come simbolo gastronomico dell’intera valle.

Il grano saraceno, sebbene non originario, venne integrato nella coltivazione locale attorno al 1600, e ora è parte imprescindibile della cucina alpina valtellinese.

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