Territorio

Calécc: pietre silenziose che raccontano una vita antica

calécc pietre silenziose che raccontano una vita antica

Il calécc

Cammini in montagna, respiri a pieni polmoni l’aria fresca e pulita delle Alpi Orobiche, e d’improvviso ti imbatti in una struttura di pietre, bassa, senza tetto, abbandonata in mezzo a un prato. Magari pensi a una capanna crollata, a un vecchio riparo dimenticato, e prosegui il cammino. Eppure, proprio lì davanti a te c’era un frammento vivo di una storia secolare: un calécc.

Il calécc non è una rovina, ma un elemento chiave dell’antica organizzazione dell’alpeggio estivo. Costruito con muri a secco alti poco più di un metro, senza tetto, era un rifugio temporaneo ma essenziale per i malgari (gli alpeggiatori) durante la transumanza estiva. Attorno al calécc, le mandrie pascolano, nutrendosi delle erbe alpine aromatiche che conferiscono al formaggio d’alpeggio un gusto unico e inconfondibile.

All’interno del calécc, gli uomini mangiavano, riposavano, e soprattutto producevano il formaggio. Sistemavano un telone sopra i muri per proteggersi dal sole o dalla pioggia, vi collocavano la caldaia e accendevano un piccolo focolare: il cuore pulsante della trasformazione del latte in uno dei prodotti più tipici e pregiati della montagna.

Ma il calécc era solo una tappa mobile di questo cammino circolare della natura e della produzione. Dopo qualche giorno, una volta esaurito il pascolo circostante, veniva abbandonato per costruirne un altro più avanti. Intanto, il formaggio prodotto veniva trasportato alla casera, la costruzione più grande, solida, coperta e ventilata, dove le forme maturavano su assi di larice per tutta la durata dell’estate.

Il calécc è un simbolo. Simbolo di una vita dura ma autentica, legata ai ritmi della natura, alla fatica quotidiana, alla cultura alpina che rischia di scomparire. È una testimonianza silenziosa, che resiste tra i sassi e l’erba alta, spesso ignorata dagli escursionisti distratti, ma che meriterebbe di essere riscoperta, rispettata, tramandata.

Se ti capita di trovarne uno, fermati. Guardalo con altri occhi. Immagina il fuoco acceso, le voci degli uomini, il profumo del latte caldo e il rumore delle campane al pascolo. Stai toccando un pezzo di memoria viva della montagna.

Dalla caldaia alla casera: il cuore del formaggio d’alpeggio

Se il calécc è il punto di partenza, il luogo mobile e spartano dove il latte prende forma, allora la casera è il traguardo. Qui, il formaggio d’alpeggio riposa, matura e si trasforma in un prodotto unico, capace di raccontare la stagione estiva, i profumi dei pascoli e il lavoro degli uomini di montagna.

La casera (da non confondere con la “casèra” veneta, con significato simile) è una costruzione solida e permanente, situata nei pressi dei pascoli alti, ma abbastanza accessibile per poter essere raggiunta anche con carichi pesanti. Le sue mura in pietra grigia locale e il tetto in legno o piode sono pensati per mantenere una temperatura e un’umidità stabili, fondamentali per la stagionatura naturale del formaggio.

All’interno, le forme vengono sistemate su lunghe assi di larice, un legno resinoso che respira e non altera l’aroma del prodotto. Ogni giorno vengono girate, controllate, pulite. Un lavoro paziente, silenzioso, che accompagna l’intera stagione di alpeggio, che dura circa tre mesi, da fine giugno a inizio settembre.

Vicino alla casera, sorge quasi sempre la baita, la vera casa degli alpeggiatori. Qui dormono, cucinano, vivono. Spesso, non sono soli: li accompagnano le mogli e i figli, che durante l’estate si trasferiscono in montagna. È un mondo che ancora oggi resiste in alcune valli delle Alpi Orobiche, come in Val Brembana, Val Seriana, o Val di Scalve, dove la cultura dell’alpeggio è viva e radicata.

Il formaggio prodotto in questi alpeggi è spesso a latte crudo, senza fermenti aggiunti, e può assumere nomi diversi a seconda della zona: formai de mut, stracchino all’antica, bitto storico, solo per citarne alcuni. Prodotti DOP o Presìdi Slow Food, veri gioielli che raccontano una montagna ancora autentica.

Mangiare un formaggio d’alpeggio non è solo un’esperienza di gusto, è un viaggio nella cultura e nella fatica, un assaggio di identità locale, un modo per sostenere un’economia rurale che ha bisogno di essere riconosciuta e valorizzata.

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