Covid dati Valtellina
Venerdì scorso l’Ospedale Morelli ha festeggiato le dimissioni dell’ultimo paziente in cura per un’infezione da covid-19, un anziano che ha superato la fase acuta e può dirsi guarito: non era mai successo nei tre anni e più di apertura del reparto covid-19. Non è ovviamente escluso che non vi saranno altri ricoveri in futuro, ma nello scorso fine settimana non sono stati segnalati casi positivi che richiedevano cure ospedaliere e questa è già una buona notizia. Attualmente i malati covid-19 vengono ricoverati al quarto piano del primo padiglione, dove sono disponibili le camere a pressione negativa: ad essere accolti, come avviene ormai da molti mesi, sono i soli pazienti affetti da patologie respiratorie che necessitano di cure specifiche, mentre chi è positivo al covid-19 ma è affetto da altre malattie viene isolato e curato nel reparto di riferimento.
Risale al 5 marzo 2020 l’apertura del reparto covid-19 e della Terapia intensiva all’Ospedale Morelli di Sondalo. Tre anni senza un attimo di tregua, dalla prima alla sesta ondata, da un picco all’altro: intorno ai 200 con la prima, all’inizio di aprile, e poi con la seconda, a dicembre 2020. Con la terza ondata i ricoverati raggiungono il numero massimo di 140 ad aprile 2021, con la quarta superano i 100 nel gennaio 2022, quindi la quinta e la sesta, rispettivamente nell’estate e nell’autunno dello stesso anno, quando si arriva a 50 pazienti in cura. In poco più di tre anni i ricoveri presso le strutture ospedaliere della provincia di Sondrio sono stati oltre 3500, con una percentuale dei decessi che è progressivamente diminuita: il 25% nel 2020, il 15 nel 2021 e il 10% nel 2022. Ma proprio a chi non ce l’ha fatta ha pensato la dottoressa Chiara Rebucci, infettivologa, responsabile del reparto covid-19, quando venerdì scorso ha dimesso l’ultimo paziente. «È stato un momento surreale, quasi non riuscivo a credere di avere il reparto vuoto – sottolinea -: la maggior parte dei pazienti che abbiamo curato in questi tre anni è tornata a casa, ma io non faccio altro che pensare alle persone che abbiamo perso. Mi vengono in mente le telefonate ai parenti per comunicare la triste notizia, il dolore e i pianti: speriamo di non rivivere mai più un’esperienza come quella della pandemia. Tre anni sono un tempo lunghissimo, soprattutto quando non si è preparati ad affrontarli: nessuno l’avrebbe pensato all’inizio e, a parte qualche pausa, sono stati tutti mesi impegnativi, dalla prima alle successive ondate, che non ci hanno mai lasciato tregua».
Un’esperienza intensa dal punto di vista personale ma anche sotto l’aspetto medico, condivisa con la collega Marta Benedetti e con alcune decine di altri medici, fino a cinquanta contemporaneamente, fra infettivologi, pneumologi e altri specialisti, del Morelli e degli altri ospedali della provincia, che si sono alternati all’interno di reparti che necessitavano di essere continuamente riorganizzati, da un’ondata all’altra. Il ringraziamento più sentito della dottoressa Rebucci è per tre colleghi che non si sono mai tirati indietro: Francesca Antoniazzi, oncologo, Patrick Caspani, fisiatra, e Alessia Marziani, chirurgo. Trentotto mesi affrontati con impegno e dedizione, un giorno dopo l’altro. «Non potevano fare diversamente – aggiunge la dottoressa Rebucci – semplicemente non avremmo potuto essere da un’altra parte. I pazienti covid-19 non sono pazienti uguali agli altri: non sei mai tranquillo, non puoi mai dire andrà tutto bene, perché le complicanze possono subentrare all’improvviso e allora bisogna intervenire con tempestività. Non basta studiare questi pazienti, bisogna vederli».
Nei trentotto mesi trascorsi il reparto non è mai rimasto vuoto, nemmeno per un giorno, e ha richiesto un grande impegno da parte del personale medico e infermieristico e della struttura organizzativa dell’Asst. Per questo motivo le dimissioni dell’ultimo paziente sono state accolte con sollievo e speranza. Nel frattempo, l’allentamento della pressione sui reparti causata dalla pandemia ha consentito di far fronte alle problematiche infettivologhe e di curare tanti malati affetti da patologie di questo tipo.