Torri, mercanti e dighe: il lungo viaggio della Valle di Fraele

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torri, mercanti e dighe il lungo viaggio della valle di fraele


Il ruolo medievale della Valle di Fraele: snodo commerciale e strategico


Nel Medioevo, la Valle di Fraele costituiva un vero e proprio crocevia tra l’alta Valtellina e i passi alpini verso il nord, come l’Engadina e i territori dei Grigioni. Attraversata dalla celebre Via Imperiale di Alemagna (o “Strada delle Scale”), era fondamentale per il commercio del vino valtellinese, che dalla Valtellina veniva esportato in Austria e Baviera, e veniva importato a Bormio il salgemma proveniente dalle miniere di Hall in Austria. Grazie a questo traffico, la valle si sviluppò come zona densamente popolata, con altiforni, fonderie, una locanda e una chiesa risalente al periodo medievale.

Le Torri di Fraele, erette in quota a circa 1930 metri, furono costruite intorno al 1391 come veri e propri presidi difensivi lungo il passo. In origine facevano parte di un sistema più ampio, che comprendeva una trincea muraria e gradini in legno (“Scale”) incastrati nella roccia per facilitare l’attraversamento del pendio. Le torri vigilavano l’intera valle, la Val Viola e il Livignasco, controllando sia i mercanti in transito sia eventuali eserciti invasori. All’interno avevano un ingresso al primo piano accessibile con scala retraibile, caratteristiche tipiche di edifici difensivi.

Documenti storici e recenti scavi archeologici hanno confermato l’età tardomedievale delle torri: dendrocronologia applicata al legname usato nei ponteggi ha datato la costruzione al 1392, in linea con le fonti storiche. Nei primi del Quattrocento erano presidiate anche contro la peste proveniente da Val Monastero e Val Venosta.

L’importanza strategica della valle diminuì nel Sette-Ottocento, quando il traffico commerciale interalpino si spostò verso altre vie più comode. Tuttavia, restano testimonianze fondamentali della sua centralità storica: oggi le torri costituiscono un luogo simbolico, immerso in un paesaggio mozzafiato, dove si percepisce la presenza delle vie e dei traffici del passato.


Le grandi opere idroelettriche e la trasformazione del paesaggio

A partire dal 1922 iniziarono i lavori per la costruzione della diga di Cancano I, destinata a creare un bacino di oltre 20‑24 milioni di metri cubi d’acqua, allo scopo di alimentare la centrale elettrica di Fraele/Rasin, entrata in attività nel 1928. Questo impianto, con condotte forzate, canali derivatori e un salto di circa 500 metri, arrivò a produrre fino a 50.000 kVA entro il 1931. In quegli anni, la valle cambiò radicalmente: opere, tecnologie, infrastrutture e una nuova fonte di energia plasmarono la sua configurazione.

Tra il 1939 e il 1941 cominciò la costruzione della diga di San Giacomo (Cancano II), realizzata tra il 1954 e il 1956 come sbarramento ad arco gravità, con una quota di coronamento a 1902 metri e un’altezza massima di 136 metri, lunga oltre 1 chilometro. Il nuovo bacino sostituì quasi completamente quello precedente, sommergendo villaggi, la vecchia centrale e persino la chiesa medievale di San Giacomo, distrutta dall’allagamento. Le testimonianze medievali vennero cancellate, tranne ciò che affiora quando il livello delle acque si abbassa.

Nel frattempo, l’evoluzione del sistema idroelettrico aggiunse la moderna centrale in caverna di Premadio, entrata in funzione nel 1956, che sfrutta l’acqua dei laghi per produrre energia nel comune di Valdidentro. Questo passaggio segnò una vera svolta: non solo per la produzione energetica, ma anche per l’urbanizzazione delle infrastrutture e lo sviluppo economico della zona tramite strade operaie, elettrodotti e collegamenti ferroviari fino a Tirano. Una di queste vie era l’unica strada alpina con elettrolinee per camion elettrici, una vera rarità per l’epoca.

Gli impianti continuarono a evolversi: la centrale di Rasin fu dismessa definitivamente nel 2004, mentre Cancano II e Premadio restano attivi, gestiti da A2A, e fanno parte del complesso energetico dell’Alta Valtellina, con una capacità totale che supera i 187 milioni di metri cubi d’acqua immagazzinati nei bacini di Cancano I, Cancano II e San Giacomo.


Conflitto tra memoria storica e modernità: la rinascita del territorio

La realizzazione delle grandi dighe negli anni Quaranta‑Cinquanta portò a una trasformazione ambientale e antropica senza precedenti. Furono sommersi interi villaggi, una chiesa medievale e le tracce più evidenti della vita antica della valle. Tale cambiamento rese la valle meno collegata alla sua storia, modellando una nuova identità basata sull’energia e lo sfruttamento industriale.

Nondimeno, negli ultimi anni si è assistito a una forte volontà di recupero della memoria storica. Scavi archeologici recenti, promossi dall’Università di Bergamo, dal Parco Nazionale dello Stelvio, dal Comune di Valdidentro e dalla Fondazione AEM‑A2A, hanno riportato alla luce i resti della chiesa di San Giacomo, sommersa dal bacino ma visibile durante i livelli bassi o tramite il recupero delle fondazioni. Questa restituzione simbolica ha un valore profondo per la valle: recupera dignità, identità e memoria collettiva.


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Valle di Fraele

Le torri medievali sono state valorizzate come monumento storico: la Torre occidentale è parzialmente restaurata, ormai accessibile da un ingresso al piano terra, anche se in origine era rialzato e difeso tramite scala retrattile. Le strutture oggi offrono ai visitatori un punto panoramico meraviglioso su Bormio e i laghi di Cancano.

Il territorio, parte del Parco Nazionale dello Stelvio dal 1977, è diventato una meta di ecoturismo e cultura: escursioni intorno ai laghi, itinerari in mountain bike come il “Giro dei Laghi di Cancano”, e la scoperta delle variopinte Valli Alpisella, Trela e Val Viola, tutte ricche di paesaggi naturali e storia millenaria.

Anche le visite guidate alla centrale di Fraele sono diventate attrazioni culturali: si tratta di un impianto storico, con turbine impressionanti e una sala macchine in stile industriale degli anni ’20, ancora fascinosi e attuali per chi vuole comprendere il passato e l’innovazione dell’energia italiana.

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