L’intervento vuole fornire un contributo informativo sull’impiego della biomassa legnosa come fonte energetica, in particolare su concetti dati per corretti fino a pochi anni fa, ma ora molto dibattuti scientificamente e politicamente.
La questione relativa all’impiego di biomasse forestali per fini energetici (e relativi benefici ambientali) è ampiamente dibattuta a livello sia politico, sia scientifico.
Fino a qualche anno fa era valido il concetto della “neutralità del carbonio” (UNFCCC e Protocollo di Kyoto, principale strumento operativo della UNFCCC), secondo il quale la combustione della biomassa è neutra dal punto di vista delle emissioni di CO2: la CO2 emessa è esattamente quella che la pianta ha assorbito in precedenza durante la crescita, e ciò non causa emissioni aggiuntive in atmosfera. Questo concetto è vero (è un bilancio di massa) e continua a rimanere valido per colture agrarie che hanno un ciclo di vita annuale: bruciando la coltura, si immette in atmosfera la CO2 che la coltura stessa ha assorbito l’anno precedente e – in ogni caso – la CO2 emessa è riassorbita dopo un anno da parte di una nuova coltura che intanto è cresciuta. Il ciclo è chiuso.
Nel caso di biomasse forestali (in riferimento specificatamente all’uso del solo tronco per fini energetici) la questione è diversa. Oltre alla CO2 biogenica (cioè quella naturalmente prodotta dagli ecosistemi), nell’atmosfera è presente anche CO2 antropica. Questo vale anche per il ragionamento di prima (coltura agraria), ma le biomasse forestali non hanno cicli di vita annuali, bensì di anni/decenni. Questo significa che la CO2 emessa dalla combustione viene riassorbita solo quando (e se) nuove piante cresceranno e raggiungeranno il potenziale di assorbimento di CO2 delle piante tagliate anni/decenni prima (La questione potrebbe essere affrontata mettendo a dimora nuovi alberi in sostituzione di quelli tagliati, ma in Italia – a differenza ad esempio di altri Paesi europei, come quelli scandinavi – questa pratica viene poco adottata).
Questo ha portato numerosi scienziati a mettere anche in discussione il principio di “rinnovabilità” delle biomasse: è vero che il bosco si rinnova, ma i tempi sono poco compatibili con quelli delle attività umane. Questo è un concetto su cui la comunità scientifica sta discutendo parecchio e cioè guardare non più il passato, ma il futuro, in cui la situazione è questa: CO2 emessa continuativamente da attività antropiche (e da combustione) ma “ritardo” di anni/decenni nel suo assorbimento. Inoltre, per unità di kWh prodotto si emette più CO2 bruciando biomassa piuttosto che combustibili fossili, ma questa è una conseguenza diretta della composizione chimica della biomassa stessa (cioè minore densità energetica). Questo è però un altro aspetto che ha portato diversi scienziati a sostenere che nel breve periodo la combustione di biomassa causa un “forcing radiativo” e un aumento dell’effetto serra, a tal punto da mettere addirittura in discussione l’inclusione delle biomasse nella Renewable Energy Directive (RED) introdotta nel 2009.
Indipendentemente da ciò, è indubbiamente vero che l’impiego di biomasse forestali in sostituzione di fonti fossili (secondo i criteri cardine della gestione forestale sostenibile (vale a dire prelievi legnosi mai superiori – salvo rari casi da valutare caso per caso – all’incremento netto del bosco) può contribuire a mitigare il cambiamento climatico e ad affrontare la “crisi climatica”, che oggi più che mai ha raggiunto livelli allarmanti sotto diversi punti di vista.
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