18 Aprile 2024 18:53

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28 luglio 1987: il Vajont della Valtellina

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“Ma non è possibile, è incredibile, non può esistere una frana di tali dimensioni, siamo testimoni di un evento geologico straordinario, più unico che raro nella vita professionale di un geologo”. Professor Carrara, domenica 28 luglio 1987.
Sabato 25 luglio 1987, ore 18: l’allarme “Val Pola” scatta ufficialmente. Quando in Valtellina la situazione tenta di tornare alla normalità, dopo giorni di alluvioni e tragedie, il 25 Luglio accade la scoperta. La Valdisotto è stata certamente uno dei territori maggiormente colpiti dall’alluvione, una valle fragile dal punto di vista geologico, prima della frana il versante appariva solcato dal torrente Pola che scendeva dalle pendici del Monte Zandila. Già in passato aveva destato preoccupazioni, normalmente la sua portata era molto scarsa, ma con la fusione delle nevi e con le piogge si ingrossava parecchio, scavando sempre più il suo alveo e, portando spesso materiale a valle.

La scoperta della spaccatura dopo gli eventi alluvionali di quelle settimane, avvenne per caso da parte del Dottor Traversi e di Adriano Greco, saliti per dei rilievi in località “Boc” (2050 m). Qui incontrano un guardia parco che racconta di essere scappato da una scarica di detriti sotto il Monte Zandila, Traversi e Greco decidono quindi di andare alla ricerca della nicchia di distacco di quella scarica. All’improvviso qualcosa di inaspettato cattura la loro attenzione: Adriano nota che la terra nella frattura non è bagnata a differenza del terreno circostante, “questo è un nuovo Vajont” esclama Greco. I due cercano di seguire la linea di fratturazione, sembra di stare in trincea, in alcuni punti è larga anche 20 metri e toccano quota 2350 di altitudine. Qui capiscono la gravità della situazione, chiamano l’elicottero che arriva da Bormio e lascia sul luogo altre tre guide alpine, colleghi di Adriano.

Passano alcune ore cercando di disegnare la frattura, nel tardo pomeriggio il geologo Traversi non ha più alcun dubbio, la situazione è di estrema urgenza, la frattura si sviluppa linearmente per oltre un chilometro a quota variabile tra i 2000 ed i 2300 metri, ci sono continue scariche di detriti e boati, tornati a Bormio viene trasmessa via fax la relazione al prefetto di Sondrio, l’allarme Val Pola entra nel vivo. La sera stessa i militari accendono i fari notturni che illuminano il versante, serve sorveglianza 24 ore su 24. Domenica 26 luglio la frattura si apre ancora di più, lo si nota a vista d’occhio. Grossi diedri svincolati affiorano a quota 1600/1700 metri, si tratta con probabilità del piede della frana, da qui partono diverse scariche di rocce che hanno scavato solchi fino al piano di Sant’Antonio Morignone, si vede chiaramente l’acqua dei torrenti soprastanti che entra nel terreno e ricompare più a valle. Gruppi di geologi illustri salgono in elicottero a vedere la frattura, non c’è più tempo, parte l’ordine di sgombero di tutti gli abitati sottostanti, in quella lista appariva anche l’abitato di Aquilone, poi tolto il giorno dopo perché si pensava che la frana non fosse di così ampie dimensioni da compromettere anche quella porzione così a nord, scelta purtroppo rivelatasi errata.

La mattina del 28 luglio, alle 7:23, un soldato che si trovava appostato insieme ai colleghi sull’altro versante urla ai compagni: “gli alberi si muovono! Gli alberi si muovono!” Passano poche frazioni di secondo, appena capiscono che tutto sta collassando davanti a loro si girano ed iniziano a correre verso monte, i loro racconti sono da film dell’apocalisse. “Ci siamo ritrovati in mezzo ad una nube di polvere, avevamo sassi e rocce che ci passavano sopra le teste, per un attimo lo spostamento d’aria ci ha tolto il respiro, abbiamo temuto di morire, possiamo dire di essere miracolati. Nel giro di qualche minuto, dopo che la nube si abbassò, non avevamo dubbi, avvertiamo subito il prefetto, vediamo chiaramente che l’abitato di Morignone non esiste più, temiamo decine di morti in quanto c’erano operai che stavano cercando di ripristinare la SS38 verso Bormio.” Il Prefetto lo disse chiaramente al Primo Ministro: “qui in Valtellina ora è una catastrofe”.
Marco Trezzi

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