19 Marzo 2024 05:40

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Andrea Beltrama: da Emilio Rigamonti al Basket Circuit, via USA

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Andrea BeltramaSe parliamo di basket e Valtellina non possiamo non parlare di Emilio Rigamonti, che ha legato per decenni il suo nome allo sport locale e agli eventi estivi di Diego Pini che da anni portano lustro, visibilità e turisti in provincia di Sondrio.

Abbiamo deciso di farlo in un modo diverso dal solito, intervistando un’altra persona, che probabilmente è ancora più “invasato” di pallacanestro del nonno, cioè suo nipote Andrea Beltrama, che, dopo avere terminato la carriera cestistica a Sondrio, si è trasferito a Chicago, negli Usa. Qui sta completando il dottorato di ricerca alla University of Chicago. Nel frattempo, lavora come collaboratore della Gazzetta dello Sport per il basket NBA e il college basket.

Andrea, celebre sui campi da gioco per i falli leggeri come un’incudine a cui sottoponeva i fortunati amici che lo incrociavano nel suo pericolosissimo incedere sui parquet lombardi, è da sempre un attento osservatore, non poteva essere altrimenti, del Valtellina Basket Circuit e di tutte le numerose manifestazioni della palla a spicchi che ospita la Valtellina, da ancor prima che lui nascesse.

A quante partite del Basket Circuit avrai assistito finora?
La prima volta fu nel 1995, Fortitudo Bologna – Efes Pilsen. Giocata nella palestra delle scuole, da sempre il Piano B di Pini per quando il Pentagono era occupato. Da lì, prima di trasferirmi all’estero nel 2010, ci sono sempre stato. Assumendo una media di 20 all’anno, arriviamo forse a 300? Nazionali, giovanili, club, amichevoli più o meno di cartello. Settimane di pioggia e di sole. Partite orrende e partite indimenticabili. Più che assistere, ho attivamente partecipato a successi e fallimenti, vittima volontaria della macchina organizzativa di Pini. Il “lavoro” di supporto era la scusa migliore per passare le giornate sul campo.

Quale edizione ti ricordi con maggiore emozione?
Occorre distinguere tra i ritiri delle Nazionali – i tornei Gianatti per intenderci – e il Basket Circuit vero e proprio, tra squadre di club. Tra i primi, indimenticabile l’edizione del 2003, con Lituania, Italia, Turchia e Svezia. Stravinse la Lituania, e fu giusto un antipasto di quello che avrebbero poi fatto vedere due mesi dopo, dominando l’Europeo di Svezia. Se parliamo di qualità offensiva, parliamo forse della squadra offensivamente più bella da vedere degli ultimi 15 anni in Europa. Giocavano a memoria, vederli dal vivo in estate era un privilegio per pochi. E poi, quello stesso anno, l’Italia finì con il vincere il bronzo, nella partita che valse la qualificazione alle Olimpiadi. Insomma, dal Pentagono passarono due medagliate su tre. Se parliamo del Circuit per le squadre di club, qualsiasi edizione negli anni ’90 ha avuto il suo fascino. Ai tempi le competizioni nazionali si giocavano a giugno, così le squadre iniziavano il ritiro in Agosto, presentandosi più o meno al completo. Altri tempi, ma è anche vero che perdere competitività sui club è stato un onesto prezzo da pagare, se pensiamo a cosa abbiamo visto con le nazionali.

Il giocatore che ti ha impressionato di più tra quelli visti in estate?
Tutta la Lituania dei primi anni 2000, dal primo al dodicesimo uomo, e passando pure per il coach. E il bello e che vennero sempre senza Jasikevicius, la stella indiscussa. Eppure riuscirono comunque a produrre una pallacanestro di livello eccelso. Nettamente superiore a tutti, per risultati e qualità. Quanto ai singoli, nessun nome, tra quelli che ho visto del vivo, si avvicina a quello di Dominique Wilkins. Anche se va detto che era ben oltre la fine della carriera, come la sua mediocre stagione a Bologna avrebbe testimoniato. Nell’unica partita giocata a Bormio però andò tutto sommato bene. E poi ci sono due nomi che vorrei fare. Uno è Darko Milicic. Il serbo che venne scelto come seconda scelta dai Pistons, davanti a Carmelo Anthony. Ebbe una carriera NBA ridicola, al punto che ora si è ritirato e si cimenta nel kick boxing. Ma a Bormio, nel 2004, giocò forse le uniche partite buone della sua vita da professionista. Insomma, un privilegio per pochi. E poi, last but not least, c’è un idolo personale che merita una citazione. Conrad McCrae, lo schiacciatore più forte forse mai visto in Europa. Per una serie di circostanze, finì sempre in squadre che giocavano al Circuit: Efes Pilsen, Fortitudo, Fenerbahce. Le sue schiacciate facevano perdere 10 anni di vita a Pini, che vedeva il canestro frantumarsi ogni volta che saliva al ferro. Quando urlava “mia, mia” sui rimbalzi, lo sentivano anche a Livigno. Morì d’infarto negli Stati Uniti, durante un allenamento estivo. Se c’è un giocatore che ha trasmesso emozioni a Bormio, è proprio lui, molto più dei grandi nomi.”

Le finali giovanili spesso hanno anticipato dei campioni del futuro, te ne ricordi qualcuno?
Ho il rimpianto esistenziale di non essere stato ai Mondiali Juniores del 1987. Avrei avuto due anni, ma chissenefrega. Mi scoccia non aver visto Toni Kukoc sganciare una tripla dietro l’altra. Tra le finali più recenti, si fa per dire, Oscar per l’incredibile Santa Croce Olbia che a cavallo del nuovo millennio vinse lo scudetto Allievi a mani basse, beffando società ben più titolate. Era la squadra di Gigi Datome, che poi sarebbe arrivato dove abbiamo visto, ma pure di Riccardo Fois. Che ora fa parte dello staff tecnico di Gonzaga University, eccellenza del college basket negli Stati Uniti. E mentre punta alla carriera da allenatore oltreoceano, ricorda sempre con piacere quei giorni in Valtellina.”

Regalaci il tuo aneddoto su Diego Pini al Circuit
Non si può sceglierne uno. Ogni giorno, ogni minuto era un aneddoto. Diciamo che aveva due punti di forza, oltre alla smisurata dedizione alla causa. Uno era il genio, la reincarnazione valtellinese di “fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione” che ci ha insegnato il conte Mascetti. Mai visto nessuno con quella capacità di improvvisare sotto pressione. Era così organizzato, nella sua apparente disorganizzazione, che sapeva risolvere qualsiasi imprevisto in situazioni dove fantomatici manager sarebbero esplosi. Dal riorganizzare i calendari degli allenamenti al negoziare le pratiche per il visto con i dirigenti turchi a due giorni dall’inizio delle partite. La seconda era lo spirito di squadra che aveva saputo creare attorno a lui. Era un decisionista, certo. Ma aveva anche saputo mettere assieme una cerchia ristretta di collaboratori. Gente di cui si fidava, e che al tempo stesso poteva cazziare senza sensi di colpa. E poi aveva i collaboratori senior, quelli che avevano il diritto di rimandarlo a quel paese, e se ne avvalevano spesso. Si giocava di squadra, senza mai prendersi troppo sul serio. Le cose non si organizzavano. Si facevano. E’ questo lo spirito che ha tenuto in piedi il Circuit, facendolo diventare quello che è diventato.”

Non finiremo mai di ringraziare tuo nonno Emilio per tutte le splendide esperienze che hanno potuto vivere centinaia di ragazzi sui campi di tutta Italia. Da dove nasce la sua passione per questo sport?
Non lo so di preciso. Ma so di sicuro che, senza quella, nemmeno la mia passione ci sarebbe stata. Certamente Pini ci ha messo del suo. Il rapporto tra Emilio e Diego risale a secoli fa. Prima sponsorizzazioni, poi un coinvolgimento sempre maggiore. A livello locale, con la Sportiva Basket, e a livello più globale, con il Circuit e la Nazionale. Emilio ha un approccio simile a Diego: fa le cose perché ci crede. Senza fare calcoli, né inseguire paginette celebrative sulle riviste aziendali. C’era una chiara divisione dei compiti tra i due, ma è stato questo tipo di mentalità a tenerli assieme per così tanto tempo. Uno faceva, l’altro si fidava. Remavano nella stessa direzione. E’ andata bene, no?

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